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RCA: quando la musica italiana sognava in grande

studi di registrazione rca

C’era una volta una “Grande Pentola”, come la definiva Ennio Melis, il decano illuminato che trasformò la RCA italiana in un mito.

Tutto iniziò nel 1949, al chilometro 12 di via Tiburtina, in una Roma periferica di greggi e casupole. Grazie ai fondi del Piano Marshall, nacque la succursale della Radio Corporation of America, controllata al 90% dalla multinazionale e al 10% dallo IOR: non solo una casa discografica, ma una città della musica, un sogno industriale che fece dell’Italia un esempio mondiale.

Gli esordi furono modesti: si stampavano dischi di Elvis Presley e Harry Belafonte, con poca produzione locale. Nel 1954, sull’orlo della chiusura, Ennio Melis prese la direzione artistica, affiancato da Vincenzo Micocci. Con studi moderni e un team di musicisti altamente preparati, diplomati al Conservatorio di Santa Cecilia, come Ennio Morricone, autore di arrangiamenti leggendari, la RCA decollò.

Elio Melis

Mensa, bar, campo da bocce e un campo di calcio, la RCA si trasformò in un vero e proprio “centro sociale” musicale. Ogni giovedì, i provini accoglievano giovani talenti. Ben presto, venne alla luce un quartetto destinato a fare storia: Gianni Meccia, con il suo Il barattolo (1960), Nico Fidenco, voce di Legata a un granello di sabbia (1961), Edoardo Vianello, re dei tormentoni come Abbronzatissima (1963), e Jimmy Fontana, che con Il mondo (1965) segnò un’epoca. I “quattro moschettieri” portarono un pop fresco e spensierato, perfetto per il boom economico di quegli anni. Domenico Modugno conquistò il mondo con Volare, Nilla Pizzi brillò nella tradizione, mentre Morandi e Rita Pavone infiammarono le nuove generazioni.

Melis investì su artisti di rottura, come Gino Paoli, Umberto Bindi, Sergio Endrigo, e su “outsider” come Francesco De Gregori, Antonello Venditti e Renato Zero, trasformandoli in star immortali. Anche Lucio Dalla, inizialmente incompreso, trovò lì la sua strada. Negli studios registrò anche Frank Sinatra, che, nel 1960, segnò un cameo storico con la réclame dei Baci Perugina.

Il bar era un crocevia di artisti e intellettuali: si poteva vedere Pasolini chiacchierare con Morricone, o incrociare Vittorio De Sica e Alberto Moravia tra un caffè e un’idea. Nacque il Cenacolo, in via Nomentana 1111, un hub creativo ideato con Lilli Greco come “campus libero” per gli emergenti, in cui gli artisti si confrontavano e davano vita a capolavori. Lì, Ermanno Olmi registrò Sognando e risognando di Battisti, con Alberto Radius, Vince Tempera, Gabriele Lorenzi e Luigi Lopez. Lì, prese forma La nevicata del ’56: Lopez la suonò nel 1975 davanti a Gabriella Ferri, commuovendola. Dopo 15 anni, Mia Martini la portò al Festival di Sanremo, vincendo il Premio della Critica.

La RCA brillò anche nelle colonne sonore: Sandokan (1976) degli Oliver Onions, Heidi (1978) di Christian Bruhn, e molti altri ancora, uscirono dai suoi studi. Negli anni Settanta, esplose il rock del Banco del Mutuo Soccorso e New Trolls, seguito dai successi pop di Eros Ramazzotti, Zucchero e Gianna Nannini negli Ottanta.

Con seicento dipendenti e pullman per il personale, la RCA era un colosso. Purtroppo, l’abbandono di big, il flop delle cassette Stereo 8 e il crollo del mercato portarono all’acquisizione da parte di Bertelsmann nel 1987. La RCA Italiana cessò di esistere come azienda, trasformandosi progressivamente in un’etichetta. Oggi, la sede di via Tiburtina è un’ombra, tra scuole per parrucchieri e magazzini cinesi.

Eppure, quel mito resta un titano senza eguali. Fu un’avventura epica che trasformò promesse in leggende, come celebra il documentario Lato A. Da quel bar, da quel campo di calcio, da quelle sale, nacque un’eredità eterna: una musica che sognava in grande e che, ancora oggi, continua a cantare.

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