Ignazio Silone è stato indubbiamente uno dei massimi intellettuali del XX secolo, tra i grandi dimenticati della storia della letteratura contemporanea, assente dai programmi scolastici, condannato da una certa egemonia di letterati e tenuto fuori purtroppo dal dibattito culturale italiano.
Autore internazionale e scrittore italiano più tradotto all’estero – di lui hanno scritto Thomas Mann, Albert Camus – Silone è al tempo stesso, radicato nella sua terra, Pescina e la sua Marsica: “l’amore per la propria terra uno se lo porta dentro, diventa una parte di te, in qualunque parte del mondo tu viva”, amava ripetere nelle interviste. La sua opera è imprescindibile dal contesto culturale dal quale proviene, Pescina e il Fucino: meta di viaggiatori sette ottocenteschi, che ha ispirato pagine di narrativa diaristica meravigliosi, ed è stato il più grandioso tra gli scenari per l’opera di Silone. Ad eccezione di “La volpe e le camelie”, ambientato in Svizzera (che comunque conterrà lo stesso senso morale, la ribellione contro tutto ciò che tende a schiacciare l’uomo), infatti, tutti i suoi romanzi, i suoi saggi, le sue riflessioni, hanno attinenza con questo angolo del mondo “in cui – diceva – le montagne sono i personaggi più prepotenti della vita abruzzese”.
Dirà: “tutto quello che m’è avvenuto da scrivere, benché io abbia viaggiato e vissuto a lungo all’estero, si riferisce unicamente a quella parte di contrada che con lo sguardo si poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui”.
Difficile incasellarlo in una corrente letteraria. Qualcuno lo avvicina ad Antonio Fogazzaro (Piccolo mondo antico), a Verga (Mastro don Gesualdo, I malavoglia), qualcun altro ad Ernest Hemingway. Anticonformista da sempre, però, Silone si inseriva perfettamente in quella letteratura che faceva dell’arte un lavoro di verità, di formazione critica delle coscienze. Egli scriveva per una necessità interiore, lontano da ogni vanità letteraria, per esprimere le sue aspirazioni ad un mondo diverso senza disuguaglianze.
Per comprendere il significato delle opere di Silone è necessario analizzare il contesto storico, sociale, culturale, economico del suo secolo, che lo scrittore pescinese ha abbracciato in buona parte, essendo nato il 1 maggio del 1900 a Pescina con il nome di Secondino Tranquillo. Per la Marsica i primi del ‘900 furono anni difficili, tra terremoto, guerre, epidemie, emigrazione di massa, la crisi economica. Anni che coincidono con la sua storia personale e la storia degli emarginati, degli sfruttati, degli schiavi di tutte le dittature. Egli stesso sarà il memorialista del suo mondo nativo. Silone attraverserà ’avvento del fascismo italiano e del nazismo tedesco e la seconda guerra mondiale. Dopo l’adesione al PCI e i suoi numerosi viaggi a Mosca come rappresentante del partito, scoprirà anche la contraddittorietà e l’ambiguità del comunismo che apriranno in lui una profonda crisi esistenziale e politica tanto che se ne allontanerà. Verrà espulso dal partito nel 1927 non senza conseguenze.
Vive errante tra Spagna, Francia, Belgio, Germania, Russia, e nel 1929 si trasferisce in Svizzera dove resta 15 anni. Assiste al dramma del fratello Romolo che viene arrestato e morirà a Procida nel 1932. Per questo si sentirà in colpa fino alla fine dei suoi giorni.
Dalla Svizzera sarà un osservatore del mondo e delle sue tragedie, conoscerà i grandi protagonisti della storia ma sarà egli stesso il protagonista di questo periodo storico, e al centro ci sarà la Valle del Giovenco. “Questa terra vecchia, ossuta, secca, assetata, prosciugata”, simbolo di tutte le terre del mondo, testimone delle sofferenze e delle sopraffazioni di tanti poveri. Silone era impressionato dai rapporti sociali delle persone della sua terra, che vedeva dall’aspetto onesto ma alla fine riconduceva a rapporti falsi, odiosi. Ricorrente è anche la diffidenza verso la Chiesa, che probabilmente aveva origine dalle opposizioni che il clero abruzzese aveva contro le leghe dei contadini. Quella stessa inerzia ecclesiale che vede nei confronti del fascismo e che emerge in “Vino e Pane.” “Dio ha creato le anime e non le istituzioni”, farà dire a Celestino ne “L’Avventura di un povero cristiano”. Denuncerà l’ingiustizia umana, incarnata nella figura di Pietro Spina che incontriamo sia in “Vino e Pane” sia ne “Il seme sotto la neve”, questa figura ricorrente dei personaggi di Silone, che vive in fuga dalla sua patria e che alla fine sceglie di sacrificarsi per un poveraccio.
Si chiamò Ignazio, come il fondatore della Compagnia di Gesù (1534) Sant’Ignazio da Loyola, cavaliere e teologo, Silone come il condottiero dei Marsi durante la Guerra sociale contro le legioni di Roma tra il 91 e 88 a C.. Sandro Pertini dirà di lui “Uomo dal cuore puro, intellettuale onesto”.
di Federico Di Mattia