«V’a nella nostra lingua, tutta, in sé stessa, semplicità ed efficacia, una parola consacrata dalla intenzione degli onesti a designare molte cose buone, molte cose necessarie: è la parola Forza. Epperò, s’è detto e si dice il forte Abruzzo. V’a nella nostra lingua, tutta, in sé stessa, comprensiva eleganza, una parola che vale a comprendere definendole, tutte le bellezze, tutte le nobiltà è la parola Gentilezza. Epperò, dopo aver visto e conosciuto l’Abruzzo, dico io: Abruzzo Forte e Gentile. Epperò, dopo aver visto e conosciuto l’Abruzzo, ho detto e ripeto io: Abruzzo Forte e Gentile». (Primo Levi)
L’Abruzzo, regione pittoresca dell’Italia centrale, ha ispirato scrittori, poeti e artisti per secoli. Con i suoi paesaggi mozzafiato, le tradizioni ricche e la storia affascinante, il territorio è stato spesso il luogo ideale per raccontare storie che catturano l’immaginazione.
L’Abruzzo ha dato i natali a diversi autori di spicco, tra cui Gabriele D’Annunzio, uno dei più grandi scrittori italiani del XIX secolo, le cui opere come “Il Piacere” e “L’Innocente,” catturano la bellezza della regione e le sfumature delle sue tradizioni. Le montagne, i laghi e i borghi medievali della sua terra sono spesso al centro delle sue liriche, che celebrano la bellezza selvaggia della regione.
Alle opere dannunziane di contrappongono quelle siloniane. Il territorio più centrale abruzzese, ospita infatti Pescina, la città che ha visto nascere lo scrittore Ignazio Silone, probabilmente l’autore italiano più tradotto al mondo, che con la sua Fontamara ha travalicato i confini dal 1939, anno della prima pubblicazione dell’opera. Ma l’Abruzzo è stata anche protagonista di opere letterarie iconiche, come “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che menziona la regione enfatizzando la divisione tra il Sud e il Nord Italia. Il protagonista Tancredi si riferisce all’Abruzzo come una terra lontana e misteriosa, simbolo delle differenze regionali italiane.
Ma tracce d’Abruzzo si ritrovano anche nel Dolce Stil Novo di Guido Guinizelli
Chi vedesse a Lucia un var capuzzo
in cò tenere, e como li sta gente,
è non è de qui ’n terra d’Abruzzo
che non ne ’namorasse coralmente.
Par, sì lorina, figliuola d’un tuzzo
de la Magna o de Franza veramente;
e non se sbatte cò de serpe mozzo
come fa lo meo core spessamente.
Ah, prender lei a forza, ultra su’ grato,
e bagiarli la bocca e ’l bel visaggio
e li occhi suoi, ch’èn due fiamme de foco!
Ma pentomi, però che m’ho pensato
ch’esto fatto poria portar dannaggio
ch’altrui despiaceria forse non poco.
e persino in Dante Alighieri, per l’esattezza nell’Inferno, XXVIII, 17-18: «e là da Tagliacozzo, ove senz’armi vinse il vecchio Alardo»
di Federico Di Mattia