L’abruzzese che firmò la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America

L’abruzzese che firmò la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America

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di Alina Di Mattia

Ancor prima dell’eccezionale flusso migratorio di fine ‘800 ed inizio ‘900 che interessò l’isola di Ellis Island, e precedentemente all’arrivo dei bastimenti mercantili che attraccavano sulla striscia sabbiosa di Castle Garden, c’è una storia dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti meno conosciuta ma innegabilmente appassionante. Racconta le coraggiose avventure dei nostri connazionali che, a partire dalla seconda metà del XVII secolo, si imbarcarono sui velieri in partenza dall’Europa alla volta del nuovo mondo – allora teatro di conflitti tra nativi americani e coloni britannici – cambiando le sorti di un’intera Nazione.

Erano principalmente possidenti terrieri, commercianti che partivano per incrementare gli affari, nobili senza più mezzi economici, cercatori d’oro, dissidenti politici e religiosi figli dell’Illuminismo ed in rottura con il vecchio mondo, missionari, artigiani e contadini che fecero la loro fortuna nel Far West. Vissero gli anni dei difficoltosi viaggi in carovana per attraversare praterie dalle piste impervie e fiumi senza ponti, anni in cui furono costruiti villaggi, ranch, saloon, uffici postali, banche che custodivano l’oro scavato dalle miniere, chiese, redazioni di giornali e create le prime leggi per proteggersi dalle scorribande di spietati pistoleri.

Chissà se nonno Roberto Paca (orig. Pace), quando lasciò la provincia di Chieti nel 1657 per trasferirsi in una colonia britannica del nuovo mondo, trovandosi in un’ambientazione fedele al miglior film western dei giorni nostri, avrebbe mai immaginato che suo figlio Aquila sarebbe diventato il primo sceriffo italiano in America e che il nipote William ,  appena cento anni dopo, avrebbe firmato insieme a Jefferson e Franklyn, il documento che segnò la nascita della più grande nazione del mondo? Probabilmente no.

Il periodo dell’emigrazione di massa era ancora lontano, ma i pionieri italiani erano già presenti nel Minnesota, nel Montana, nel Wisconsin, nel Virginia. Erano “ondate di rivoluzionari ma allo stesso tempo di conservatori” secondo la definizione di Giuseppe Prezzolini e, pur integrandosi completamente in una comune coscienza di americanismo,  conservarono la loro cultura e la loro identità presso le comunità che li accolsero, tanto che lo stesso Thomas Jefferson, amico fraterno e vicino di casa del filosofo toscano Filippo Mazzei, affascinato dall’arte rinascimentale, imparò a parlare l’italiano e tradusse gli scritti di quest’ultimo estrapolando dalle sue opere la frase “Tutti gli uomini per natura sono liberi e indipendenti”, divenuta l’ispirazione per uno dei principi fondamentali della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America:Tutti gli uomini sono stati creati uguali”.

La Storia dell’Emigrazione italiana viene spesso generalizzata e letta in contesti stereotipati legati a vicende di malavitosi conclamati. Stereotipi che negli ultimi due secoli hanno dato vita ad un vero e proprio sentimento antitaliano causando il linciaggio di numerosi innocenti, colpevoli soltanto della loro nazionalità. Eppure la sua narrazione è più complessa e avvincente di quello che si possa immaginare. Racconti di crudeltà ma anche di riscatto e speranza, di uomini volenterosi e dai sani principi che hanno reso migliore la terra che hanno scelto come seconda Patria.

Ferventi patrioti come William Paca che in quel 4 luglio del 1776, a Philadelphia, nelle vesti di Governatore del Maryland, firmò il documento della Commissione dei Cinque composta da Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston e Roger Sherman,  con il quale tredici colonie britanniche dichiararono la propria indipendenza dal Regno di Gran Bretagna, dando vita alla Nazione più grande del mondo: gli Stati Uniti d’America.

William Paca fu uno dei primi politici americani a sollevare il problema dello schiavismo che sarebbe stato finalmente abolito nei decenni successivi. Morì nell’ottobre del 1799 lasciando il ricordo di un uomo onesto e rispettoso e la traccia indelebile del passaggio italiano in un momento cruciale della Storia.

Washington D.C., non lontano dalla statua di Abraham  Lincoln  – costruita peraltro dai fratelli italiani Piccirilli – , nel piccolo parco dedicato ai Padri fondatori, uno dei nomi sulla lastra di granito è proprio quello del politico americano di origini abruzzesi.

La prossima volta che sentirete parlare del 4 luglio, dimenticate per qualche secondo Tom Cruise ed il film di Oliver Stone che porta il nome di una data memorabile e rendete onore a chi, circa tre secoli fa, contribuì a scrivere il capitolo più importante della Storia americana e agli oltre 60 milioni di italiani che, emigrando in ogni angolo del mondo, hanno fatto la loro fortuna e quella dei Paesi in cui sono stati accolti.

L’articolo è stato inserito nell’Antologia “Raccontami l’Abruzzo” edita da Tabula Fati. 

 

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