di Cristina Di Giorgi
Nel cuore del quartiere Africano di Roma, a due passi dalla frequentatissima viale Libia, c’è un monumento molto particolare, soprattutto per le leggende che aleggiano intorno allo stesso: è il sepolcro attribuito (ma non c’è certezza assoluta su questo punto) ad Elio Callisto, che fu liberto dell’imperatore Adriano. Una reliquia dell’Antica Roma dunque, meglio e più nota come Sedia del Diavolo (al punto che la piazza in cui insiste fino agli anni Cinquanta si chiamava appunto piazza Sedia del Diavolo, salvo poi essere rinominata come Piazza Elio Callisto).
Ma cos’è che lo rende tanto interessante non solo per gli abitanti del quartiere ma anche per tutti coloro che, incuriositi da leggende e misteri, ne hanno sicuramente sentito parlare?
Innanzitutto vediamone brevemente la struttura. Stando a quanto riportato sul sito della Soprintendenza alle belle arti di Roma, il sepolcro, del tipo “a tempio”, risale alla metà del II secolo d.C. e si sviluppa su due piani, entrambi con caratteristiche artistiche molto interessanti. Nel corso del tempo la facciata è interamente crollata, mentre si conservano tre dei lati.
Ed è proprio dall’aspetto assunto dall’ormai rudere in conseguenza dei citati crolli che deriva il nome popolare di Sedia del Diavolo: il monumento, infatti, ha assunto l’apparente forma di un’enorme trono, con tanto di schienale e braccioli. Sedia dunque. Ma perché “del Diavolo”? Per comprenderne il motivo dobbiamo immaginare che una volta quella che ora è un’area semi-centrale della città, piena di vie e palazzi, era in aperta campagna: dunque il monumento si scorgeva in lontananza. Ed è facile immaginare che, utilizzato da viandanti e vagabondi come rifugio notturno con tanto di fuochi accesi all’interno, a coloro che, nell’oscurità, lo vedevano da lontano, l’apparizione dei riflessi rossi delle fiamme sembrava tetra, inquietante e demoniaca.
Qualcuno, inoltre, pensava addirittura che il monumento avesse assunto la forma di una sedia proprio perché Satana, utilizzandolo come trono, ne avesse provocato il parziale crollo. Tra l’altro molti ritenevano che all’interno della struttura si svolgessero riti esoterici, orgiastici e propiziatori organizzati dai seguaci del Maligno.
Nel XIV secolo, confermando l’aura di mistero e magia del monumento, la gente scriveva i suoi desideri sul muro affinché si realizzassero e qualcuno raschiava frammenti di mattone per utilizzarli in pozioni magiche, anche perché voci popolari dicevano che il rudere potesse conferire il dono della preveggenza e capacità curative. Si dice poi anche che in un punto non identificato della “Sedia” l’alchimista Zum Thurm abbia inciso la parola “kabala” e che chiunque avesse battuto tre volte il pugno chiuso contro la scritta recitando la formula “voglio cambiare la storia”, avrebbe ottenuto un grande cambiamento nella sua vita.
Va ricordato, infine, che secondo diverse fonti in questo luogo estremamente carico di intensità si era soliti celebrare riti funebri dedicati a parenti deceduti ed anche con la finalità di esorcizzare gli spiriti dei morti. Sono i cosiddetti lemuralia, che si ritiene fossero legati alla figura di Romolo, uno dei fondatori dell’Urbe, che con essi intendeva allontanare lo spirito vendicativo del fratello Remo, da lui ucciso.
Quella che vi abbiamo raccontato è una storia piena di leggende popolari, forse in parte dettate da superstizione. Ma se vi trovate a passare per Roma e per il quartiere Africano, andate a Piazza Elio Callisto. Magari di sera. Così potrete giudicare da voi se c’è un frammento di verità nella vox populi.