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La quarantena degli invisibili

disabili e coronavirus

 

di Alina Di Mattia

Siamo alle ultime battute del lockdown che ha abbassato le saracinesche delle nostre vite.

La situazione di grave emergenza che ha monopolizzato per mesi strutture e personale sanitario, catalizzando a sé tutta l’attenzione mediatica mondiale, sembra subire finalmente una battuta d’arresto. Nello stesso momento in cui abbiamo realizzato che il meccanismo delle nostre vite perfette si può inceppare da un momento all’altro, e senza neppure un preavviso, ci siamo resi conto altresì di non avere gli strumenti giusti per fronteggiare un virus tanto aggressivo. Nonostante un esercito di medici straordinari  impegnati in prima linea per salvare vite umane, l’urgenza ha condannato all’invisibilità le persone in condizioni di disabilità e con patologie invalidanti come malattie cardiovascolari, epatiche, respiratorie croniche, neurodegenerative, oncologiche, disturbi del comportamento, compromissione del sistema immunitario etc., per le quali non c’è stato spazio né tempo. Basta pensare a tutti i centri di riabilitazione diurni  rimasti chiusi e a tutti quei pazienti  – che richiedono assistenza h24  – abbandonati a se stessi.

Si è smobilitato anche il CONFAD (Coordinamento nazionale famiglie con disabilità) per sollecitare provvedimenti nei confronti dei lavoratori e dei pazienti con disabilità ma, per settimane, è esistito solo e soltanto il contagio  da coronavirus. E in un certo senso continua ad esistere. Perfino chiamare un’ambulanza nei giorni di picco dell’emergenza è stato pressoché impossibile. Chi ha potuto ha fatto ricorso a servizi privati e a pagamento. Chi no, è morto. Leggete bene, è morto. I tabloid sono pieni di notizie di pazienti deceduti in attesa di essere ricevuti al Pronto Soccorso. Lo stesso Istituto Spallanzani di Roma, un fiore all’occhiello nel campo dell’Epatologia, è stato costretto, suo malgrado, a mettere in panchina i pazienti trapiantati e con malattie del fegato, anche gravi, per dedicarsi totalmente alle infezioni da Covid-19.

Per onestà intellettuale c’è da fare un doveroso encomio al suddetto Istituto per l’eccezionale gestione dell’emergenza sanitaria in atto, e vanno altresì menzionati quei professionisti che, nonostante le ovvie difficoltà, sono riusciti a mettere appunto interventi chirurgici, in taluni casi innovativi, come quello avvenuto presso l’unità operativa di Endoscopia digestiva chirurgica del Policlinico Gemelli. Nella struttura romana, per la prima volta in Europa e negli Stati Uniti d’America, l’équipe multidisciplinare composta dai professori Guido Costamagna, Andrea Tringali, Vincenzo Perri, Alessandro Cina, Ivo Boskoski hanno eseguito un intervento pionieristico sul dotto biliare con l’ausilio di due poli magnetici, proprio in piena emergenza coronavirus.

Per tutti gli altri,  ahinoi, un bilancio disastroso. Come se le numerose barriere attualmente esistenti non fossero già sufficienti, molti si sono ritrovati fuori da percorsi preferenziali (e di protezione) durante i trattamenti terapeutici, in particolare quelli chemioterapici e di riabilitazione oncologica che necessitano una certa precauzione. Ma il settore più penalizzato nel sistema sanitario è senza dubbio quello legato al disturbo dello spettro autistico, per via di tutte le problematiche ad esso connesse. Uno studio del Medea denominato RADAR   (EspeRienze nell’emergenzA COVID-19 nei bAmbini con disabilità e nei loro genitoRi) ha evidenziato un incremento significativo di  comportamenti aggressivi e ansioso-depressivi negli adulti e nei bambini autistici proprio a ridosso dell’emergenza. L’isolamento e l’interruzione della routine quotidiana, quale elemento di stabilità per il contenimento dei disturbi psichici e comportamentali, hanno amplificato il disagio della quarantena. Inoltre, la sospensione delle attività motorie all’aria aperta –  come hanno evidenziato i responsabili del Centro Benedetta d’Intino di Milano  che si occupa di autismo e comunicazione aumentativa –   ha in alcuni casi vanificato gli sforzi fatti e i traguardi raggiunti, creando problemi  ancor più grandi della stessa epidemia, con genitori sovraccaricati nei loro ruoli, e senza il sostegno dei caregiver impossibilitati ad operare.

Chi  non ha avuto particolari problemi di salute durante l’emergenza e non conosce la complessità dello spettro autistico (e delle numerose patologie invalidanti), difficilmente potrà  comprendere appieno le enormi difficoltà vissute dalle famiglie e dai pazienti coinvolti. Va pertanto promossa una maggiore sensibilizzazione nei confronti di chi vive sia l’esperienza del coronavirus sia quella della disabilità e, da parte di chi ci governa, focalizzata urgentemente l’attenzione sul settore con la messa  a punto di un efficiente protocollo, per far fronte alle esigenze della popolazione più fragile nei momenti di crisi e per garantire a tutti le cure nella massima sicurezza.

Perché,  è un dato di fatto e lo abbiamo sperimentato a nostre spese, non siamo invincibili come pensavamo.

ARTICOLO PUBBLICATO DALLO STESSO AUTORE SUL QUOTIDIANO IL CENTRO

Immagine di copertina di Alexandre Saraiva

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