Sul lato meridionale della rocca capitolina, a Roma, c’è quella che tutti conoscono come Rupe Tarpea, una parete rocciosa a strapiombo, tristemente famosa poiché gli antichi romani vi gettavano dal punto più alto i nemici dell’Urbe. Tra le vittime eccelse fu giustiziato anche il valoroso comandante Spurio Cassio Vecellino, autore dell’antica riforma agraria “Lex Cassia“, accusato di voler restaurare la monarchia a suo vantaggio.
Secondo una delle diverse tradizioni il nome Rupes Tarpeia o Saxum Tarpeium deriverebbe invece da Tarpeia, figlia del comandante romano Spurio Tarpeo che difendeva Roma dall’assedio dei Sabini.
Nel primo libro della Storia di Roma lo storico Livio narra che la giovane Tarpeia si lasciò corrompere da Tito Tazio, re dei Sabini e comandante dell’esercito arrivato a Roma per vendicare il rapimento delle loro donne, e svelò al suo esercito un passaggio segreto per raggiungere la collina in cambio di “ciò che i Sabini portano con la mano sinistra“, ovvero bracciali d’oro e scudi.
Una volta avuto l’accesso alla città, i Sabini, disgustati dal vile tradimento della vanitosa giovinetta, la ricoprirono dell’oro e degli scudi a cui ambiva, lasciandola morire schiacciata dall’enorme peso. Il suo corpo venne seppellito proprio nel luogo che oggi porta il suo nome.
Secondo altre fonti, il nome Rupe Tarpea è dovuto a un antico tempio posto alla sommità del colle e consacrato a Tarpea, la dea che tarpava – appunto – il filo della vita ai nemici di Roma. Di certo è che quella rupe incuteva terrore quasi quanto il dirupo del Taigeto di Sparta, nel Peloponneso, e non era certamente ben vista da nemici e dissidenti di quel tempo lontano.
di Federico Di Mattia