Le linee di Nazca
Nello scenario desertico della Pampas di Nazca, dove non piove regolarmente da almeno 10.000 anni, appaiono figure di proporzioni ciclopiche incise nel pietrisco, rimaste intatte nei secoli grazie alle straordinarie caratteristiche climatiche del luogo. Gli archeologi collocano la data della loro creazione tra il 500 a.C. e il 500 d.C. e, in mancanza di una spiegazione plausibile, affermano che questi graffiti furono incisi per motivi rituali o religiosi. Quello che a tutt’oggi non si è riusciti a spiegare è perché gli indios Nazca avrebbero svolto un lavoro così titanico, quando l’unica maniera per godersi appieno i disegni è guardarli dall’alto, a bordo di un velivolo, cosa che non potevano di certo fare.
Studiosi come la ricercatrice tedesca Maria Reiche – scomparsa nel 2000 – sono convinti che i disegni siano in realtà simboli astronomici, tramite i quali si potevano prevedere le future posizioni dei corpi celesti e determinare così le stagioni più consone alla semina o al raccolto. Ma se il tutto raffigura un planetario, quali stelle e costellazioni vi sono riprodotte?
Una leggenda locale narra che i Viracochas, misteriosi esseri giunti da un paese lontano, civilizzarono la popolazione locale e, al momento di ripartire, decisero di lasciare ai Nazca il loro indirizzo stellare o magari delle indicazioni utili per la navigazione spaziale. A tale scopo venne usato qualche mezzo dall’alto, forse una sorta di laser con cui il terreno venne inciso pesantemente. Questa ipotesi spiegherebbe la presenza di alcune zone bruciate, chiamate dagli esperti “fosse di combustione”, dove le rocce appaiono annerite.
Secondo alcuni ricercatori, tra cui Eric Von Däniken, i disegni geometrici di Nazca sono evidenze di un sistema visivo d’atterraggio. Ma il tutto può essere semplice coincidenza. Occorrono ulteriori e approfonditi accertamenti per giungere ad una soluzione del rebus peruviano.
Macchu Picchu
Anticamente conosciuta come Tampu-Tocco, “Paradiso delle Tre Finestre”, la città sorgeva su terrazzamenti scavati a 2500 metri d’altitudine, ai margini di una foresta tropicale dominante dall’alto il corso del fiume Urubamba. Grazie alla posizione nascosta che le permise di sfuggire all’assalto dei Conquistadores spagnoli, l’insediamento Inca è rimasto pressoché intatto fino ad oggi, come fosse stato abbandonato improvvisamente dai suoi abitanti. Molte mummie ritrovate erano di donne: probabilmente si trattava di una società matriarcale oppure erano vestali in una città dedicata al culto delle Vergini.
Le pareti formate da giganteschi blocchi di pietra, opportunamente trattate, smussate e levigate, sono perfettamente unite fra loro senza malta o cemento. Dalla Piazza Sacra s’inerpica una scala che conduce ad una terrazza da cui si vede l’intera città. Al centro della piattaforma si erge una piccola colonna in pietra chiamata in lingua locale Intihuatana, “Ciò che lega il Sole”. Secondo Rolf Müller, dell’Università tedesca di Potsdam, la colonna consentiva di osservare il tramonto esattamente nel giorno degli equinozi. Se ne fa risalire la costruzione tra il 2100 e il 2300 a.C.
Le Pietre di Ica
Le pietre di Ica sono andesiti carbonizzate risalenti al Mesozoico rinvenute nel 1960 nel deserto di Ocucaje, quando un’inondazione del rio Ica dissotterrò gli strati più profondi portando alla luce il loro giacimento.
Il principale studioso in questo campo è stato lo scomparso professor peruviano Javier Cabrera Darquea, che ha catalogato e decifrato circa 11.000 pezzi. Le pietre presentano incisioni non inseribili in nessun contesto culturale noto e mostrano una flora ed una fauna parzialmente sconosciute in Sud America, indici di un’epoca primordiale che supera di gran lunga i confini riconosciuti della storia dell’umanità. Vi sono anche rappresentate mappe di territori ignoti, strumenti ottici quali telescopi, animali preistorici estinti, velivoli meccanici, ma soprattutto la rappresentazione di avanzate operazioni chirurgiche, tra cui interventi a cuore aperto e trapanazioni di cervello.
di Federico Di Mattia