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Il mondo nuovo. Satira cicolana sull’avvento dell’elettricità

di Settimio Adriani e Anna Rossi

È arriàtu ‘u munnu nóu có’ la luce éntr’agl’óu

La satira in esame, opera di mastru Savèriu, al secolo Saverio Paone (1876-1941), falegname residente a Sant’Agapito, secondo quanto riportato dall’informatore Marino Rughetti (1927-2015) «satirista di quelli raffinati», fu composta sul finire degli anni Trenta. Si incardina su un dialogo immaginario, beffardo, permeato di dubbi e meraviglia, avvenuto tra mastru Ciccu, all’anagrafe Francesco Rossi (1875-1959), falegname originario di San Salvatore, e Sabante Di Paolantonio (1897-1961), conosciuto come Sabbante, pastore di Peschieta, che gli aveva commissionato una botte, mai realizzata. Del componimento, tramandato quasi esclusivamente per via orale, esistono rare trascrizioni postume, tuttavia, la memoria umana è fallace e la forma originaria potrebbe aver subito progressive modifiche nel corso del tempo. Infatti, sono state documentate versioni non sempre coincidenti, ma tutte concordanti sull’ironia e lo stupore che lo caratterizzano.

Prima di esaminare nel dettaglio i contenuti della satira, e con l’intento di sottolineare il ruolo tradizionalmente assunto localmente dalla pratica del rimeggiare, si può fare riferimento alla seguente eptastica in consonanza (Adriani 2024):

Rude branco di bisonti

con le rime fanno i sunti

sono nomadi che’ i Sinti

e s’appellano ai lor santi.

Santa Chelidonia, senti

tu che vieni dalla Rocca

fai ‘sta gente sana e ricca.

L’autore della strofa, il pastore fiamignanese mastru Giggi, meglio conosciuto come Luigi Adriani (1905-1996), col secondo verso sottolinea che, a quei tempi, fosse consuetudine consolidare attraverso i componimenti gli eventi della comunità locale ritenuti degni di nota, indipendentemente dalla loro natura seriosa, leggera o trasgressiva. In tal modo, essendo quella cicolana una «società senza scrittura» (Ong 1986: 172), la poesia orale veicolava le memorie, agevolandone notevolmente la perpetuazione, sebbene non garantisse l’identità persistente.

Il lavoro specialistico più significativo e corposo di recupero del patrimonio di memorie orali in una vasta area del Cicolano si deve a Cavicchi & De Gasperis (2004: 1-296), i quali hanno raccolto e fissato in modo rigorosamente filologico una grande mole di materiale, ordinandola in categorie e preservandola dall’oblio. Da tale fonte è tratta la seguente quartina (Idem 88):

La fija de Giuseppe vaccarone

divenne dotta ‘n poche settimane

e con facilità scrive e compone

che ogni persona stupita rimane.

L’abilità nel comporre e la capacità di stupire l’ascoltatore, magistralmente descritte nella strofa e attivamente ricercate dai rimatori, secondo Marino Rughetti erano doti pienamente possedute da mastru Saverio. Data l’incertezza sulla reale forma originaria della satira, dovuta principalmente al fatto che nel Cicolano ‘non si scriveva’, questo breve saggio propone tre diverse versioni: una manoscritta da Ferdinando Pistoni (1928-2008) negli anni Settanta e messa a disposizione dal figlio Claudio; una restituita verbalmente da Adelmo Di Giampasquale (1920-2003) negli anni Novanta; infine, uno stralcio riferito da Marino Rughetti ad Anna Rossi nel 2013, arricchito da utili commenti e altri versi inediti.

Ciò che colpisce immediatamente è la mancanza dell’incipit fondamentale, presente in due delle varianti: «È arriàtu ‘u munnu nóu / có’ la luce éntr’agl’óu».

Tutte le versioni, invece, tratteggiano in modo sarcastico la stupefacente novità, ironicamente rappresentata dal geniale inserimento della flebile fiammella di candela nel guscio trasparente di un uovo, ottenendo così la futuristica lampadina (lampa). Questa innovazione suscitò sbalordimento per l’effetto prodotto, nonché la paura per l’impalpabile, inspiegabile e pericolosa energia che la alimentava.

Prima dell’invenzione, il chiarore domestico tardo ottocentesco era così descritto: «La era una camera […] illuminata dalla fiamma rossiccia d’una lampada che pendeva dalla nera soffitta» (Venosta 1858: 481); è quindi evidente che il nuovo modo di illuminare non passasse inosservato. La satira si dipana attraverso un’inesauribile cascata di considerazioni meritevoli di nota, abilmente messe in bocca dal rimatore a mastru Ciccu e al suo compare Sabbante. Nel susseguirsi dei versi, infatti, emergono: la meraviglia per la produzione di luce in assenza dei «papìli» (stoppini) e dell’alimentazione priva di «ógliu» e «petrógliu»; l’incredulità per l’insolita natura della «lèttrica que appìccia» proveniente dalla lontana «Ovindoli», dove «i maestri la sau l’arte» e la diabolica macchina «arròta [in solitudine, come una] mòla», un insieme di diavolerie dalle quali il compare Sabbante, fervido «ddivòtu [de] San Pàolu», prendeva le debite distanze; lo sconcerto per il fatto che fosse sufficiente toccare i fili per «casc[arc]i siccu»; lo sbalordimento per il magico potere della vampa, che ad una semplice occhiata «te sse tira piànu piànu, / te sse tira da lontànu, / te sse tira zittu zittu, / come serpe gl’ucellìttu»; l’impressione per la paura suscitata dalla novità, in contrasto con la familiarità già acquisita altrove; il turbamento all’idea che l’impalpabile «vampa» che correva lungo i fili potesse sovvertire il destino assegnato ad ognuno fin dalla nascita; l’inquietudine dinnanzi ai cartelli di pericolo: «ci sta scritìu pé’ lle porte: / c’è pperìcolu dde morte».

Tuttavia, nonostante le sarcastiche apprensioni che l’innovazione imponeva, il cerchio della satira si chiude ribadendo in altra forma lo stupore dell’incipit: «sò’ ddu fila ncandescénti, / que accoppiate avéntru agl’óu, / fau vedé’ lu munnu nóu». Attraverso le parole di Ciccu e Sabbante, Saverio ci ha voluto comunicare che, nonostante il futuro possa presentare incertezze e incutere timore, bisogna confidare in esso e affrontarlo con fiducia. Quindi, parafrasando la locuzione fiat lux (‘sia luce’, Genesi, 1:3), rendendo omaggio all’autore e agli attori della satira e augurando un futuro luminoso a questa Rivista, che «munnu nóu» sia!

Bibliografia

Per gentile concessione della rivista “di Questa e d’Altre Terre”, edito da Pro Loco di Fiamignano – Presidente Bruno Creazzo. Anno 1 – N. 1 – Email qat.rivista@gmail.com

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