Il cognome insieme al nome o, se preferite, il prenome, è il tratto identificativo di una persona e serve ad indicare a quale famiglia appartiene.
In Italia il cognome viene assegnato nel momento in cui si dichiara una nuova nascita al fine di iscrivere il neonato nel registro comunale dello stato civile. Il bambino prende il cognome del padre seguito, eventualmente, da quello della madre. Se la paternità viene accertata successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre dopo quello della madre, o sostituirlo direttamente a quello materno.
Senza avventurarci nell’Antroponomastica, disciplina che studia l’origine dei cognomi, di seguito un breve excursus sull’origine di quelli che oggi sono i nostri cognomi.
Non si hanno notizie certe ma sembra che tutto ebbe inizio in una Cina remota. Nel Giappone e nel Tibet dell’antichità erano soltanto gli aristocratici a fare uso del cognome, ma nel XIX secolo, a seguito di un’esponenziale crescita demografica e la conseguente necessità di censire tutti i cittadini, si è dovuto ricorrere al cognome in molti angoli del mondo.
Da noi, il cognome veniva utilizzato già nell’antica Roma. A quel tempo, i cittadini venivano registrati con il sistema trianomina: il prenomen, che era il nome della persona, il nomen che indicava la gens, ovverosia la famiglia di appartenenza, e infine il cognomen, una sorta di soprannome che distingueva le persone e risolveva i problemi delle omonimie. Purtroppo, tali registri andarono persi con l’arrivo dei barbari nella nostra penisola, cosicché l’uso del cognome fu dimenticato per secoli.
Nell’anno Mille, a causa della necessità di registrare atti di ufficiali come quelli di compravendita, fu reintrodotto una sorta di uso del cognome per identificare i nuovi nati. Esso prevedeva più che altro di unire alla persona una caratteristica fisica come poteva essere il colore dei capelli, un toponimo, un soprannome, il mestiere svolto che si differenziava da regione a regione, oppure, nei casi di discendenza patrilineare, il nome del padre o, nei casi di discendenza matrilineare, il nome della madre.
Il Concilio di Trento del 1564 sancì l’uso di un registro parrocchiale che contenesse i nomi di tutti i bambini battezzati. A rendere ancora più urgente l’esigenza di attribuire un cognome ai nuovi nati fu l’aumento degli esposti, ovvero dei neonati che venivano abbandonati nei conventi nella ruota detta appunto degli esposti, la cui porta consentiva di collocare un bambino senza essere visto. Per Legge, ai trovatelli doveva essere imposto un cognome, ed era appunto Rota, Esposto, Esposito (esposto in lingua spagnola), Orfano, Trovato, Ventura, ma anche Incerto, D’Avanzo, Casagrande, Diotallevi, Donadio, Bentivoglio.
I neonati abbandonati nello Spedale di Santa Maria degli Innocenti, in Toscana, presero il cognome di Innocenti, Nocenti, Nocentini, quelli lasciati nell’istituto di Santa Caterina della Ruota, a Milano, che aveva come simbolo una colomba, vennero chiamati Colombo e Colombini. Quando invece i piccoli venivano abbandonati nei pressi di un ponte assumevano il cognome Da Ponte, se lasciati vicino a una chiesa, ovviamente Chiesa e così via.
Curiosità: dalla dicitura ‘figli di m. ignota’, madre ignota, nacque il termine dispregiativo “mignotta”.
C’erano ancora i cognomi derivati dai luoghi di provenienza come Veneziani, Abbruzzi, Marchigiani, Toscani, Calabrese, Lombardi, Trevisan’, Siciliano, e quelli che richiamavano caratteristiche fisiche, ovverosia Rossi, Nero, Verde, e persino Mancini e i suoi derivati in dialetto quali Manca, Mancuso, Gosso (Veneto).
Non mancano i cognomi relativi ai mestieri svolti, Sartori da sarto, Notaricola da notaio, Mastrocola da mastro e quelli derivati da ‘figli di’ quali Di Francesco, Di Matteo, Di Gioia, Di Pasquale, Di Gianberardino (figlio di Gianni, a sua volta figlio di Berardino).
Attualmente i cognomi italiani sono oltre 350.000.
di Federico Di Mattia