di Angelo Eugenio Mecca
Il romanzo di Alessandra Bucci, A ritmo di cuore, è un libro dedicato allo sport e per lo sport, che mette lo sport stesso al centro di una mai banale e scontata riflessione sul senso della vita e sul valore supremo del sacrificio. Lo sport in questione è la ginnastica ritmica, che costituisce il fulcro e il centro di gravità delle vite dei protagonisti, nella mente e nel cuore, come alluso anche dal titolo, particolarmente efficace. Una prefazione di Julieta Cantaluppi, pluridecorata campionessa nella disciplina, ne precisa ed evidenzia il valore di documento prezioso e di testimonianza di vita e dello spirito di abnegazione degli atleti impegnati nelle competizioni ad ogni livello. Lo sport è però nel libro anche metafora della vita in generale, con le vittorie e le sue sconfitte, i suoi alti e bassi, i suoi trionfi e le sue inevitabili tragedie; ma con la costante dell’impegno continuo e di non demordere mai, nella consapevolezza che il duro lavoro e i sacrifici alla fine daranno i frutti sperati, nonostante le difficoltà e i bruschi momenti di stasi. Siamo in Abruzzo, e la protagonista – una delle protagoniste – è Vittoria, giovane adolescente avviata fin da subito all’attività sportiva per volere e desiderio della madre Rosa, a sua volta ginnasta ma con alle spalle un tragico incidente che ne ha stroncato prematuramente una brillante carriera. Le vite della giovane ragazza e della madre frustrata nelle sue aspirazioni giovanili si intrecciano e si confondono reciprocamente: la donna impone alla figlia un duro regime alimentare, un ferreo controllo delle attività di tempo libero e una conseguente e inevitabile limitazione in tutte quelle situazioni di vita e di socialità che dovrebbero invece caratterizzare i ragazzi della sua età. Il suo nome stesso, Vittoria, le è stato imposto alla nascita in vista già dell’obiettivo a cui sarebbe stata destinata, quasi come un fardello e un peso a cui è stata condannata. Entrambe le protagoniste, madre e figlia, narrano in prima persona – in sezioni diverse del libro – i loro rispettivi punti di vista, e il quadro che ne viene fuori è di una evidenza psicologica sconcertante:
In seguito mi confessò che il giorno in cui era venuta a sapere di aspettare una figlia femmina fu il giorno più bello della sua vita dopo l’incidente. Mi raccontò anche che subito dopo aver appreso la notizia, la prima immagine che si vide passare davanti agli occhi fu la sua splendida figlia in pedana, con un body scintillante mentre balzava in alto a ritmo di cuore (p. 15).
Vittoria ricorda con sofferenza i primi anni di duri sacrifici e di privazioni impostole dalla madre:
Mi ha sempre tenuto a dieta ferrea, mi pesava quasi ogni giorno stando attenta in modo quasi maniacale che io non prendessi chili superflui, dovevo essere magra, filiforme, leggera come una piuma. Era ossessionata dal mio peso perché – a suo dire – non avevo ripreso da lei che era magrissima di natura ma presentavo una certa tendenza ad ingrassare come la mia nonna paterna. A volte addirittura arrivava a togliermi il cibo dal piatto (p. 17).
Tuttavia in Vittoria c’è altrettanta consapevolezza che, al di là della volontà della madre, in lei stessa c’è la convinzione di essere nata per la ginnastica ritmica, e che questo sport è la sua stessa ragione di vita. Nei confronti della madre scatta quindi il ringraziamento per i sacrifici e le limitazioni che le ha imposto, grazie ai quali può ora dare il massimo e puntare ai traguardi più alti. Nel non detto di Vittoria traspare però un altro motivo, chiaramente inconscio, nascosto dentro di sé e mai forse pienamente emerso al livello della coscienza pura, che è quello di riscattare in qualche modo il sogno infranto della madre, troncato prima della sua nascita da un terribile quanto misterioso incidente:
Ribadisco, se sono arrivata fino a qui è solo grazie a lei. Ora è il momento di ringraziarla con un’ultima prova eseguita alla perfezione. Quella stessa prova che a lei è stata negata da un brutto colpo del destino, un incidente stradale che le ha frantumato la gamba e che, ancora oggi, la costringe a zoppicare. E soprattutto che l’ha obbligata ad abbandonare quella che fin a quel momento era stata la sua unica passione: la ginnastica ritmica. Il sogno di diventare una campionessa era svanito nel nulla in un primo assolato pomeriggio di circa ventitré anni fa proprio sulle strisce pedonali davanti alla sua palestra, 19 all’ingresso di quella che oggi è anche la mia palestra (pp. 18-19).
A questo punto scatta il flashback che ci riporta indietro nel tempo di vent’anni, e la parola (e il punto di vista) passa a Rosa, giovane ginnasta che narra in prima persona la sua crescita nello sport ma anche nella vita. L’arrivo di una nuova compagna, Stella, con un passato oscuro alle spalle, le sconvolgerà l’esistenza, fino al giorno del tragico epilogo, quando un’auto, deliberatamente la investe sulle strisce pedonali all’ingresso della palestra. Si ritorna al presente, e Vittoria è alle prese con la gara decisiva, i cui esiti potranno farle fare quel salto di qualità da sempre atteso da madre e figlia. La tensione è palpabile: sulla pista si misurano le atleti più bravi e promettenti a livello nazionale. Nelle evoluzioni di Vittoria, Rosa osserva in religioso silenzio e rivede nei movimenti della figlia la se stessa di vent’anni prima, in un passo in cui la totale identificazione ‘madre-figlia’ si consuma definitivamente e si rende del tutto evidente:
La musica delicata e malinconica accompagna ogni suo passo. Tutte le mie emozioni soffocate nel tempo mi tornano prepotentemente a galla, non riesco a trattenere le lacrime. All’improvviso ricordo tutti i passi e i movimenti del mio esercizio di allora, quello con il quale avrei dovuto gareggiare prima dell’incidente. Quanto mi sarebbe piaciuto essere al posto di Vittoria in questo momento! E quasi mi sento in colpa per questo mio pensiero. All’improvviso vedo sovrapporsi le nostre immagini sfocate che si muovono in sintonia sulla pedana, Vittoria con la sua palla rossa ed io col mio amato cerchio foderato d’argento. Muovendoci lasciamo per qualche secondo le nostre immagini fisse nell’aria come fossero impronte sulla sabbia che subito dopo il mare cancella. Ai miei occhi i nostri colori, le nostre figure si mescolano diventando a tratti una sola cosa e creando sfumature e arabeschi meravigliosi (p. 95).
Il finale della storia è all’insegna di colpi di scena: Rosa si ritroverà davanti in maniera inaspettata Stella, la misteriosa compagna scomparsa improvvisamente proprio alla vigilia del suo incidente, che ora ha il ruolo di Presidente della Giuria incaricata di giudicare la figlia. Con Stella ci sarà un drammatico colloquio, che non solo svelerà i particolari dell’improvviso allontanamento della ragazza, ma che getterà luce – una luce cupa e sinistra – sullo stesso incidente di Rosa. Il libro si conclude con Vittoria che si scoprirà finalmente Libera di scegliere (tale il titolo di uno degli ultimi capitoli), e dopo un confronto franco con la madre, finalmente libero dai condizionamenti reciproci, porterà entrambe al raggiungimento di una superiore saggezza, dettata anche – se non soprattutto – dall’insegnamento maturato nello sport, appunto metafora di vita. Vittoria afferma:
Comunque ora puoi stare tranquilla, ho capito che non posso che essertene grata. Nella vita non possiamo mai essere veramente liberi fino in fondo. C’è sempre qualcosa che condiziona i nostri passi. Tu mi hai obbligata a diventare una ginnasta ma credo che se non fossi stata predisposta verso questo sport non avrei raggiunto tali livelli. Sarò sincera, all’inizio lo facevo soprattutto per te ma poi nel tempo sono cambiata e, ieri, sul quel podio, mi sono resa conto di essere la persona più felice del mondo […] Non so se riuscirò ad ottenere nuove importanti vittorie, a tagliare nuovi traguardi, ma quello che è certo è che metterò tutta me stessa nel raggiungere nuovi obiettivi e, non me ne volere mamma, ma d’ora in poi, lo farò esclusivamente per me (pp.154-55).
E la madre conclude:
Ascoltando la sua storia [= di Stella] mi sono resa conto che, è vero, nella vita sono stata sfortunata, ma sicuramente c’è chi lo è stato molto più di me e non continua, per questo, eternamente a piangersi addosso. Anzi, è riuscita a reagire da tempo con il giusto atteggiamento proprio come ha fatto lei. Del resto come diceva De André, “dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fiori”. Avere avuto un passato difficile lascia il segno per sempre ma può essere sicuramente un punto di forza per affrontare il futuro, forse basta solo cambiare prospettiva dalla quale osservare gli eventi che hanno caratterizzato la propria vita e tutto assumerà un colore diverso. Il passato non deve essere il nostro più grande nemico, bensì deve diventare la nostra più grande risorsa. Esso può offrirci nuove chiavi di lettura per apprezzare il presente se solo impariamo a guardare nella giusta direzione. Ed io forse lo sto imparando proprio ora (pp. 155-56).
Alessandra Bucci è insegnante di Lettere, scrittrice, poetessa, ritrattista e anche mamma di due figli. Nasce a San Benedetto del Tronto e vive a Martinsicuro (Te). Ha all’attivo sei pubblicazioni tra sillogi e romanzi e ha vinto numerosi premi letterari per i suoi lavori.