La Cina di oggi è dietro l’angolo, quella degli inizi del ‘900, invece, era lontana lunghi mesi di viaggio, e per arrivarci bisognava attraversare terre straniere poco ospitali, e camminare a piedi o a cavallo in percorsi impervi, tra sterminate praterie e ostili montagne rocciose, per decine e decine di migliaia di chilometri.
Fu esattamente ciò che fece Silvestro Rosati (1864- 1904) che, a fine Ottocento, lascia la sua famiglia e la sua casa di Cerchio, nel cuore dell’Abruzzo, e decide di incamminarsi verso l’Asia, per cercare fortuna all’estero.
Per il Paese sono anni difficili, di stenti e povertà, ma Rosati ha abbastanza coraggio e quella volontà ferrea e resiliente tipica del popolo marso, che gli permette di affrontare viaggi terribilmente difficoltosi portando in alto il nome italiano attraverso il suo prestigioso lavoro in Grecia, Bulgaria, Russia, Africa, Siberia, Manciuria, Giappone e Cina. Fonda quindi la sua ditta di costruzioni con la quale porterà a compimento diverse opere importanti guadagnandosi onore e fama in ogni luogo, ma quella che di sicuro è scritta nell’immaginario collettivo è un’impresa a dir poco storica: la realizzazione della Transiberiana sulla quale lavorerà per oltre 9000 km, fino al 1902.
Si stabilisce nella regione dello Yunnan, in Cina, in cui morirà malato a soli quarant’anni, probabilmente a causa delle estenuanti condizioni di lavoro cui aveva sottoposto per vent’anni il giovane fisico.
La nostalgia per la sua terra lo spinge a lasciare un testamento e il denaro sufficiente per essere ricondotto, una volta morto, in Italia, e seppellito nel cimitero del suo paese natio. Un viaggio intrapreso tra mille difficoltà e ostacoli durato ben 5 mesi. La carovana, guidata dal fratello Carmine, con al seguito fidati collaboratori dagli occhi a mandorla che gli abruzzesi non avevano mai visto fino ad allora, restituì la salma di Rosati alla sua gente e alla sua terra solo nel 1907, come attesta la lapide sul monumento dedicato all’impresario, ben visibile all’ingresso del cimitero di Cerchio.
Il fine ultimo di ogni uomo e ogni donna su questo pianeta dovrebbe essere sempre quello di lasciare il mondo migliore di come lo hanno trovato. Silvestro Rosati ci è riuscito e, per di più, con il lavoro delle sue mani.
di Federico Di Mattia