di Alina Di Mattia
Un divorzio in tempi non sospetti, ancor prima di quel famoso 1° dicembre 1970, quando, con 325 voti a favore e 283, no venne approvata dalla Camera la Legge Fortuna-Baslini contro la quale, due anni più tardi, l’Italia cattolica, antidivorzista e conservatrice promosse un pleonastico referendum abrogativo.
Un divorzio ante litteram, centottant’anni prima dall’annullamento del matrimonio tra due ebrei da parte di Papa Leone XIII, ancor prima che Pio XI sciogliesse un’unione celebrata da un vescovo protestante, e in netto anticipo a quel 1950, quando l’allora pontefice Pio XII cancellò il coniugio tra una persona cattolica e una non cattolica su richiesta della prima.
Sebbene la Chiesa avesse trasformato il matrimonio in un legame indissolubile e ne ostacolasse in ogni modo la sua cessazione, esiste una causa di divorzio, risalente a oltre due secoli prima, che ebbe luogo a Cerchio, nella provincia dell’Aquila. E, a quanto pare neppure l’unica. Già vent’anni prima, la Corte si era pronunciata in merito, e sempre a Cerchio.
Una vicenda pioneristica rispetto alla direttiva emanata e mai approvata dal Governo Zanardelli in quel 1902, finalizzata a introdurre il divorzio in caso di adulterio, lesioni al coniuge o condanne gravi; in netto anticipo rispetto al codice civile napoleonico che autorizzava lo scioglimento degli effetti civili dell’unione previa approvazione di genitori e nonni.
Il matrimonio tra i due coniugi abruzzesi viene sciolto nell’aprile del 1712 e, contro ogni prospettiva per un’epoca fortemente maschilista, vede la vittoria di una moglie adultera sul povero marito, costretto a pagare non soltanto gli alimenti ma anche il risarcimento dei danni materiali e morali per averla calunniata.
Un fascicolo titolato ‘Super divortio pro Iacobo Antonio Ciotti contra Ioannam filiam Luciae Panecasio eius uxorem’, digitalizzato dall’editore Adelmo Polla, riporta fedelmente ogni passaggio della causa legale avviata da tale Giacomo Antonio, “della Terra di Cerchio”, contro la moglie fedifraga.
Davanti alla Corte, inoltre, l’uomo dichiara di averla sposata poiché minacciato dai parenti della donna. Giovanna, infatti, “havendo amicitia con diverse persone” era indubbiamente rimasta incinta senza il ‘contributo’ di Giacomo, ma la paternità venne attribuita al poveretto costretto a portarla all’altare sotto minaccia, tant’è vero che “fu forzato con minacci de’ Parenti et assalti de’ medesimi più volte con armi sposare Giovanna figlia di Lucia Pane Cascio, uscita gravida in quel tempo e (…) perché di tal calunnia detto Suplicante era innocente”.
Nel documento originale, conservato presso la Diocesi dei Marsidi Avezzano, Ciotti chiede l’annullamento del matrimonio adducendo il tradimento della Pane Cascio avvenuto durante la Festa degli Innocenti. Costui “suplica per tanto l’Amata Benignità di V.S. Ill.ma (…) di venire con la medesima al divortio mediante il decreto di questa Corte (…) essendo stata detta Giovanna trovata pubblicamente in casa del macellaio Francesco Tomassetti (…) con cui haveva anche havuta per il passato pratica scandalosa (…).
Nonostante la deposizione di alcuni testimoni, tra cui figurano Giovanni Antonio Tuccieri, Pietro Meogrosso, Giovanni Pane Cascio, Antonia moglie di Bernardino di Legge, Sebastiano Ramelli, Valerio d’Amore, Pontiano de Pontiani, che dichiarano di averla vista entrare in casa del macellaio in tarda serata ed ivi trattenersi un paio d’ore, Giovanna accusa il marito di calunnia e si giustifica asserendo che si trovasse sul posto per ritirare della lana da calze. “Quando si è sporto a detta Corte Vescovile (…) è lontano dal vero, et una vera calumnia (…) perché ad ogni modo fu colà per pigliarne certa lana da far calzette et non già per commettere ver un mancamento.”
Il marito replica richiamando alla memoria la vita scandalosa della moglie e quanto questa fosse nota a tutti, pertanto “non ha bisogno d’altre provi concludenti, essendovi con la piena probatione fatta dalla Corte di Celano la voce publica, e fama”. Aggiunge, inoltre, che la donna non può essere andata dal Tomassetti per ritirare della lana poiché, come afferma chi l’ha vista, “ivi si trattenne per più hore con porte e finestre serrate”.
Secondo uno dei testimoni a favore del marito “la medesima, da che cominciò a conoscere il bene et il male, è caminata e vissuta in detta Terra licenziosamente e contro lo stato di Zitella”.
La Corte di Celano accoglie a sorpresa la richiesta di divorzio di Giacomo Antonio Ciotti, ma lo condanna al risarcimento dei danni materiali e morali e al pagamento degli alimenti alla moglie ripudiata e calunniata.
Quando si dice “oltre al danno la beffa”. Ma d’altronde, la libertà è un bene che non ha prezzo.
Articolo pubblicato su IL CENTRO D’ABRUZZO
Immagine di Studio Legale Pirani